Essere genitori non è un mestiere by Alison Gopnik

Essere genitori non è un mestiere by Alison Gopnik

autore:Alison Gopnik [Gopnik, Alison]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bollati Boringhieri
pubblicato: 2021-02-09T23:00:00+00:00


Topi che si azzuffano

Il gioco turbolento è quel rotolarsi e avvinghiarsi, darsi botte e immobilizzarsi, tutto quel caotico azzuffarsi che vediamo molto chiaramente soprattutto nei bambini maschi (però anche le femmine lo fanno). In quanto madre di tre figli maschi, era la fonte dei miei più frustranti dilemmi genitoriali. Una pacifista convinta, con forti valori di nonviolenza, cosa avrebbe dovuto fare di fronte ai suoi teneri e dolci figlioletti che sembravano suonarsele di santa ragione, fra di loro e con i loro amici? E come avrebbe dovuto reagire quando gli adorabili fanciulli le spiegavano con pazienza che non doveva assolutamente mettersi in mezzo? Alzando gli occhi al cielo in maniera appena percettibile, mi assicuravano che, nella comunità dei maschi, fare la lotta è il massimo segno di amicizia.

La scienza suggerisce che i miei figli avessero ragione. Nei bambini, il gioco turbolento è associato a migliori competenze sociali in futuro.6 Naturalmente, questa correlazione può significare molte cose, magari il semplice fatto che questa competenza sociale offre ai bambini maggiori opportunità di giocare con altri bambini.

Però i cuccioli umani non sono i soli che si azzuffano, anche i giovani ratti lo fanno.7 Gli scienziati conoscono lo sviluppo del cervello dei ratti molto meglio di quello umano, inoltre, in questi animali, possono esaminare con sistematicità il modo in cui il gioco influisce su questo sviluppo.

Come prima cosa hanno osservato nei dettagli lo svolgimento del gioco scatenato e turbolento, e preso nota di come differisce dalla lotta reale. Alcune differenze, quali lo sfregare il muso anziché mordere, sono evidenti. Ma ce ne sono anche di più sottili. Nel gioco della lotta, i giovani ratti provano una gran varietà di mosse di attacco e di difesa, e si danno reciprocamente la possibilità di invertirsi di ruolo. E vanno fuori controllo praticamente nello stesso modo dei bambini, quando si avvinghiano in un unico confuso ruzzolante groviglio di braccia e di gambe.

Gli scienziati sono anche in grado di confrontare giovani ratti che crescono giocando con altri che non sono privati di questa possibilità. Sappiamo che, se vengono isolati durante l’infanzia, questi animali hanno problemi a interagire quando diventano adulti. Ma questo dipende dal fatto che non hanno avuto contatti sociali, o invece è specificamente dovuto alla mancanza dell’opportunità di giocare?

I ratti adulti, come alcuni adulti umani, dimenticano come si fa a giocare. O forse sono soltanto troppo indaffarati, se non esauriti, dalla dura vita del ratto di laboratorio: tutto quel correre attraverso labirinti inseguendo ricompense per nulla appaganti. Quindi i giovani ratti che vivono soltanto con esemplari adulti non hanno occasione di azzuffarsi con i compagni, anche se possono avere molti altri contatti sociali. I ricercatori paragonano questi ratti ad altri cresciuti in modo identico ma con in aggiunta la possibilità di giocare con i loro coetanei.

Una volta adulti, i ratti deprivati del gioco hanno difficoltà a rapportarsi agli altri ratti, e si tratta di difficoltà molto eloquenti: sono in grado di fare le stesse cose dei ratti che hanno giocato, sanno attaccare e difendersi, fare le



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